Parlare di religione tradizionale nelle Isole Hawaii potrebbe avere effetti frastornanti, visto che la complessa storia dell’arcipelago ha visto sovrapporsi quote significative di popolazione della più varia provenienza, dalla fine del ‘700 ad oggi.
In più di due secoli l’arrivo di europei, nordamericani, asiatici e polinesiani ha provocato un iniziale drastico calo della popolazione nativa, una sua altalenante ripresa e ha finito col configurare l’attuale società hawaiana alla stregua di un vero e proprio crogiuolo etno-culturale.
Se a partire dal 1820 uno stuolo di missionari iniziò a portare sulle isole la fede cristiana in declinazione cattolica, avventista, luterana e battista, quella componente asiatica giapponese e cinese destinata a diventare maggioritaria doveva lasciar proliferarea sua volta influenti comunità buddhiste, confuciane, taoiste e scintoiste.
Dagli immigrati filippini è stata portata la fede in Allah, e anche i versi della Torah ebraica sono attualmente intonati nelle sinagoghe. Ci si può imbattere anche in templi Hindu, e perfino nella predicazione della moderna chiesa di Scientology.
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Religione e Spiritualità alle Hawaii
Alla ricerca della più autentica spiritualità hawaiana, bisogna risalire a ciò che accadde fra il 500 e il 1000 a.C., quando ripetuti flussi migratori da Tahiti e da altri sistemi insulari del Pacifico cominciarono a popolare significativamente le Hawaii portando con sé culti e credenze di tipo politeistico e animistico.
Un articolato pantheon di divinità principali e minori, maschili e femminili, di spiriti e “guardiani” alimentava così i riti, le regole e gli stili di comportamento di questa arcaica società, organizzata in gruppi autonomi in ogni isola sotto il rispettivo Grande Capo; e con tutta un’articolazione di capi tribù “distrettuali” distribuiti sul territorio.
Questa religiosità sciamanica era ricca di una forte carica normativa volta a disciplinare tutti i rapporti sociali: la rigida divisione in caste, le gerarchie politiche, il rapporto fra i sessi e all’interno della famiglia.
La sacralità tapu prevedeva un rigido codice fatto di prescrizioni e punizioni; e non è un caso se questa parola fu corrotta nell’inglese dei primi esploratori britannici con l’espressione “taboo”.
La divinità sovraordinata a tutte le altre era Kāne, il creatore. Nelle alte gerarchie si annovera Kū, il dio della guerra spesso raffigurato con assemblaggi di piume.
Il dio Lono era consacrato alla fertilità agricola e alla musica mentre Kanaloa, dai poteri complementari a quelli di Kāne, è raffigurato con un corpo di polipo.
Queste quattro somme divinità sono accomunate dal loro precedere la stessa manifestazione fisica del mondo, ma enorme importanza ha anche la coppia divina costituita dalla Madre Terra chiamata Papahānaumoku (o più intimamente Papa) e il suo consorte Wākea, traducibile con Padre Cielo, che sono anche i progenitori di tutte le stirpi dei Grandi Capi delle Hawaii arcaiche.
Vista la straordinaria attività vulcanica non poteva mancare un posto d’onore per la “dea dei vulcani” creatrice dell’intero arcipelago.
Pele ha infatti il potere di imprimere la forma a queste isole con la forza del magma tellurico, da cui deriva la consacrazione al culto di precise aree dei territori più prossimi ai vulcani.
Il Parco Nazionale dei Vulcani delle Hawaii è Sito UNESCO, e il suo scopo è quello di garantire la tutela ambientale e culturale di due straordinari vulcani a scudo – fra i cinque complessivi presenti su Big Island –caratterizzati da colate laviche molto fluide: il più attivo fra i due è Kīlauea, mentre Mauna Loa è il più grande al mondo di questa categoria.
È precisamente individuata nel Cratere Halema’uma’u la dimora della dea Pele.
La formazione rocciosa di Pu’u Loa (Collina della lunga vita) costituisce la massima concentrazione di arte rupestre dell’intero arcipelago.
La maggior parte di questi petroglifi sono iscrizioni tracciate in prossimità di fori nella roccia in cui venivano collocati i cordoni ombelicali dei nuovi nati per propiziarne la longevità.
Visitare i templi a Hawaii
Sulla costa occidentale di Big Island è ubicato il Tempio di Hikiau Heiau, eretto su di una piattaforma di lava stratificata e destinato a un singolare impiego “duale”.
I riti qui praticati eranodedicati alternativamente al dio della guerra Kū – col compimento anche di sacrifici umani – e al dio della fertilità Lono, con più festose celebrazioni atte a propiziare l’abbondanza dei raccolti.
Proprio con quest’ultima divinità fu identificato il capitano James Cook nel gennaio del 1779, al suo ingresso dall’antistante Baia di Kealakekua, accolto da una solenne cerimonia e invitato a soggiornare in una cornice di idilliaci rapporti con i nativi.
Ma l’ambivalenza di questo tempio doveva sortire i suoi tragici effetti un mese dopo quando, in occasione di una seconda visita, il celebre esploratore britannico fu vittima dell’improvviso “risveglio” del dio della guerra.
Ripetuti piccoli episodi infiammarono via via i rapporti fino a degenerare in uno scontro armato che provocò la morte del capitano.
Gli hawaiani intuirono che avrebbero dovuto unire le forze per fronteggiare un mondo più vasto e complesso di quanto immaginassero. Una guerra interna per unificare l’arcipelago iniziò quindi nel 1795 e durò 15 anni.
Il Regno delle Hawaii e le due dinastie
Nel 1810 il nuovo Regno delle Hawaii aveva finalmente unificato tutte le isole, ma dietro questa monarchia unitaria c’era la stessa volontà degli europei di avere un interlocutore unico verso cui esercitare al meglio la propria influenza politica.
Le due dinastie di Kamehameha e di Kalākaua ebbero il prevalente controllo del regno fino al 1893.
Seguì una breve parentesi repubblicana e infine l’annessione fra gli stati della federazione statunitense nel 1898.
Il regno di Kamehameha V, fra il 1863 e il 1875 è oggi ricordato come il Primo Rinascimento Hawaiano per via degli sforzi di questo sovrano allo scopo di rivitalizzare le tradizionali pratiche rituali e di ripristinare l’antica medicina hawaiana.
Per Secondo Rinascimento Hawaiano si intende invece un fenomeno iniziato nel 1970 e trascinato dalla moda musicale nella dimensione pop di quegli anni.
Gli effetti di questo clima culturale ebbero importanti ricadute su di un nuovo infervoramento verso la lingua hawaiana originale, la danza e l’artigianato tradizionali, e tutto un insieme di studi antropologici mirati al recupero dell’autentica identità culturale locale.
La complessa stratificazione dell’odierna società hawaiana si presta a forme di sincretismo e di “compromesso” con le attuali religioni importate e ci si potrebbe facilmente imbattere in una sorta di metafisica hawaiana chiamata Huna.
Si tratta, tuttavia, di una novecentesca costruzione in stile new age, non considerata autentica espressione della più genuina tradizione religiosa.
Sono in tutto nove i siti notevoli da visitare su Big Island.
Altri Templi importanti
Oltre ai due già menzionati ricordiamo il Tempio di Ahu’ena Heiau in onore del dio della fertilità Lono, e utilizzato come dimora dell’estrema vecchiaia dei sovrani.
Presso il Tempio di Mo’okini Heiau avevano luogo sacrifici umani per propiziare il contatto dei sacerdoti con dei e antenati.
Naha Stone è un masso di due tonnellate che avrebbe dato il potere di riunire tutto l’arcipelago sotto un unico regno a chi lo avesse sollevanto e ricollocato al suo posto.
Poco meno di un chilometro quadrato di iscrizioni rupestri costituiscono i Petroglifi di Puako, che includono raffigurazioni di animali, uomini e dei presso l’Holoholokai Beach Park sulla costa nord-occidentale.
Più a sud, verso la Honaunau Bay si trova il sito sacro di Pu’uhonua che offriva rifugio a guerrieri e vittime di guerra, ma anche ai trasgressori della legge in cerca di redenzione.
Ancora dedicato al dio della guerra Kū, il Tempio di Pu’ukohola Heiau fu il luogo in cui il fondatore della monarchia, Kamehameha I, sacrificò suo cugino nei primi anni del Regno.
Mauna Lani Bay Hotel vacanza in Hawaii
Il ventilato complesso del Mauna Lani Bay Hotel punta direttamente verso il mare con una sagoma a forma di freccia, magnificata da un lieve promontorio di sabbia bianca e con uno sfondo sull’entroterra che non cela la mole di ben tre vulcani.
Ci troviamo sul tratto marittimo della Regione di Kona, sul versante centro-meridionale della costa occidentale di Big Island.
Da novembre a marzo si colgono facili occasioni per avvistare le megattere provenienti dal Canale di Maui, quando i grandi cetacei indulgono in giochi d’amore sotto costa solcando queste tiepide acque.
L’arioso padiglione di ingresso si sviluppa dalla reception verso un corridoio centrale che dà accesso ai sei piani dell’edificio.
Non si ha affatto l’impressione che una simile struttura – disegnata con gusto degli anni ’80 – sia oggi fuori moda, mentre l’occhio cade su piccole cascate che riforniscono canali ornamentali abitati da esemplari di tartaruga verde marina delle Hawaii in attesa di essere rimessi in libertà.
Lo scenario tende ad amplificare la sensazione di paradiso tropicale, con ampia piscina, palme, ombrelloni e tratti acquatici.
Il 90% delle 341 camere guardano verso l’oceano, mentre alcune affacciano su verdi campi da golf o puntano a nord verso il Vulcano Kohala.
Le suite si caratterizzano per planimetrie non prive di eccentricità, con arredo moderno e decorazioni in stile polinesiano anni ‘70 dai prevalenti colori in tonalità terra.
Cinque superlative ville-bungalow offrono la quintessenza del lusso hawaiano, con docce esterne in roccia di lava e accessoriatissime cucine interne ad uso degli chef dedicati.
Presso l’Auberge Spa rivitalizzanti trattamenti a base di oli, erbe e miele locali attendono chi varca la soglia dell’area benessere.
La cena al Canoe House Restaurant si avvantaggia di spettacolari tramonti che si colgono sperimentando espressioni della tipica cucina hawaiana dinamizzate in chiave moderna e impreziosite dalla freschezza degli ingredienti.
Il pesce è preparato in varie fogge ma anche le ricette di terra trionfano, come quando viene servito un sorprendente piatto di guanciale di maiale affumicato.
I condimenti recano l’alone di formule segrete – come una specialissima salsa al mango – e si può optare per un menu degustazione di sei portate in cui trovano sintesi il cuore e l’anima di queste preparazioni, intorno a dichiarati valori di squisitezza e di condivisione del gusto.